la danza

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martedì 29 novembre 2011

conoscersi e conoscere attraverso il metodo autobiografico

L'autobiografia è uno dei metodi attraverso cui un allievo può comprendere se stesso e progettare il proprio futuro. Risulta molto spendibile per una didattica interculturale, poiché, con la narrazione della propria vita, della propria cultura, delle vicende che l'hanno portato in un paese diverso da quello d'origine, il bambino e l'adolescente straniero possono riflettere e farsi capire dagli altri, comunicare esperienze e stabilire relazioni, mantenendo i legami con la propria identità storica e culturale. Il metodo autobiografico attiva nei bambini un processo introspettivo e autoriflessivo, aiuta a ricomporre i momenti della propria vicenda esistenziale, incoraggia ad essere consapevoli del proprio modo di rappresentare se stessi, le cose e gli altri[1].

Duccio Demetrio afferma che le storie di vita, da ascoltare, scrivere, leggere o far leggere ad altri, da raccogliere e custodire, sono pertanto una straordinaria opportunità interculturale; rappresentano forse il momento cruciale di ogni incontro[2]. L'autobiografia risulta un metodo pedagogico ricognitivo, in cui una storia è messa di fronte all'autore legittimo, nel desiderio di autorappresentazione che genera un insieme di eventi condivisi da altri. Attraverso il racconto autobiografico il bambino o l'adolescente italiano o straniero, raccontandosi, costruisce l'immagine di se stesso, degli altri, del mondo in cui vive, mettendo in atto processi cognitivi ed emotivi. Nel momento relazionale dell'incontro, colui che narra si sente riconosciuto e confermato dall'interesse dell'altro, dalla disponibilità di uno sguardo, da parole incoraggianti, dal tempo che gli viene dedicato. Si produce inoltre un «effetto di autostima»: colui che narra acquisisce la consapevolezza di saper narrare e gli viene offerta un'occasione per potersi esprimere meglio; il narratore recupera la propria soggettività attraverso la riscoperta della propria storia di vita e guadagna piacere nell'uso della prima persona.

Il docente, oltre a valorizzare le capacità di espressione orale, deve valorizzare la capacità di scrittura, abituando i suoi allievi - italiani e stranieri - all'esercizio della narrazione e della trascrizione, sollecitando il discente con domande relative alle esperienze fondamentali nella vita di ogni uomo: l'amicizia, lo studio, lo svago, l'amore, il dolore. La scrittura ha in particolare lo scopo di potenziare e di rendere più intensa la capacità di analisi interiore e la consapevolezza di sé, attuando nel narratore un processo di rielaborazione, che si rende necessario per tradurre in forma scritta le proprie riflessioni e i propri pensieri. Nel racconto autobiografico di bambini stranieri possono trasparire emozioni, smarrimento e disorientamento, stupore per nuove scoperte. Il racconto autobiografico, in una didattica interculturale, è fondamentale poiché dalle storie individuali dei singoli alunni emerge ciò che ci unisce, vale a dire gli elementi che sono comuni a ogni biografia di infanzia e di adolescenza, e ciò che ci differenzia, vale a dire tutti quegli elementi che sono specifici della cultura di appartenenza.

Per accettare la cultura degli altri, una cultura che non appartiene alla nostra tradizione e alla nostra storia, è indispensabile innanzitutto conoscersi a fondo, in modo tale che sia possibile mettere in atto un confronto. È necessario cambiare il punto di vista soggettivo per ascoltare, dialogare, comprendere e confrontarsi su un piano di parità, per essere solidali e cooperativi. Per avvicinarsi all'altro bisogna distaccarsi da noi stessi e assumere un'ottica differente. L'autobiografia ci può aiutare, poiché attraverso di essa possiamo riflettere sulle nostre usanze, sui nostri valori, sui nostri comportamenti e paragonarli a quelli di coloro che provengono da altre culture e da altri luoghi.

L'autobiografia insegna anche la decostruzione, ossia il mettersi in discussione, l'allontanarsi da sé, l'abbandono dell'esaltazione della nostra appartenenza, che ci impedisce di capire gli altri e ci ostacola nell'aprirci a nuove esperienze. Solo se diamo all'altro una dignità pari alla nostra, può scaturire la comprensione reciproca e un dialogo fecondo.



[1] Cfr. G. Favaro, Mediazione e intrecci di culture. Percorsi di didattica interculturale, in D. Demetrio, G. Favaro, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 140.

[2] Ivi, p. 64.

sabato 26 novembre 2011

al suo arrivo attiviamo il tutoring tra pari

Durante l’anno scolastico arriva a scuola un allievo straniero che non conosce l’italiano. La conoscenza della lingua italiana è indispensabile per comunicare con la classe e studiare le diverse discipline. La scuola deve offrire un supporto per l’apprendimento dell’italiano, così facendo facilita il percorso d’inserimento e integrazione. Un intervento efficace è costituito da un’esperienza di apprendimento cooperativo: il tutoring tra pari.
Gli ideatori dell’apprendimento cooperativo sono D. W. Johnson e R. T. Johnson. “ Il metodo dell’apprendimento cooperativo si basa su un sistema di valori legato all’essere parte di una comunità e che insegna responsabilità e interessi che vanno al di là di se stessi, a lavorare per la riuscita e il benessere degli altri, oltre che propri. L’apprendimento cooperativo è più vicino ai valori democratici in quanto insegna a scegliere per il bene del gruppo, insegna la condivisione, l’aiuto e, soprattutto, che il proprio successo e benessere dipendono da quelli degli altri ” .
Si stabilisce un rapporto di cooperazione tra il tutor, vale a dire l’allievo più esperto e con una relativa padronanza delle competenze linguistiche, e un compagno di classe straniero in difficoltà o neoimmigrato. Tale rapporto può delinearsi secondo due modalità:
 alunno italiano ( tutor ) e alunno straniero;
 alunno straniero ( tutor ) e alunno straniero.
La seconda modalità è possibile se i due alunni appartengono allo stesso gruppo linguistico; in questo caso il tutor può essere un riferimento per un compagno di recente immigrazione e sostenerlo nello studio formalizzato della lingua.
Il tutoring tra alunni, che si presenta come intervento integrativo rispetto alle attività disciplinari, può:
 sostenere l’alunno straniero nell’apprendimento di contenuti relativi a una data disciplina, favorendo in tal modo il suo percorso di inserimento e integrazione nel contesto scolastico;
 creare nel gruppo classe un clima relazionale positivo;
 promuovere la cooperazione e la solidarietà tra alunni, creando occasioni di incontro e di scambio, utili alla conoscenza reciproca;
 potenziare e valorizzare le competenze dell’alunno tutor, nel rispetto delle sue scelte e dei suoi interessi;
 favorire processi metacognitivi ( la riflessione sugli aspetti formali dei contenuti ).
L’alunno tutor affianca il compagno nella comprensione della lingua orale e scritta, nella produzione e rielaborazione di testi scritti in forma collaborativa, nell’individualizzazione delle strutture della lingua. Potrebbe essere esonerato dallo svolgimento di una parte di attività ( compiti a casa o esercitazioni in classe ) inerenti a determinati contenuti o competenze esercitate attraverso il tutoring.
L’età degli allievi gioca un ruolo fondamentale in questa esperienza didattica: più gli studenti sono maturi e consapevoli del lavoro da svolgere, meno risulta determinante l’intervento dell’insegnante.

mercoledì 23 novembre 2011

incontro Fabio, docente di lingua italiana per stranieri.

Lo scorso mese di settembre ho intervistato Fabio Solinas, un docente di didattica dell'italiano. Io e Fabio ci siamo conosciuti in occasione di un mio corso di formazione in didattica presso l’agenzia di formazione WebHouseMessina s.r.l. .

Ciao Fabio, quali sono stati i tuoi studi?

Ciao Luigi! Allora, dopo essermi diplomato in ragioneria ho seguito le mie passioni e mi sono iscritto al corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere, specializzandomi in lingua araba. Proprio durante gli studi universitari, dopo aver sostenuto l'esame di glottodidattica, è nata la passione per la didattica della lingua italiana a stranieri e, dopo l'università, ho deciso di guardarmi un po' intorno e ho seguito il corso in didattica dell'italiano per stranieri erogato dalla WebHouseMessina. Devo dire che grazie a questo corso ho preso i primi contatti con questa bella realtà.

Successivamente ho iniziato un corso di perfezionamento in didattica dell'italiano L2, organizzato dall'Università "l'Orientale di Napoli" e ho potuto svolgere un tirocinio attivo presso il Centro Linguistico dell'Università stessa. È stata un'esperienza formativa importante, che mi ha permesso di entrare in contatto con le nuove tecnologie applicate alla didattica (web radio, ex-learning, hot potatoes e il mitico moodle).

Quale motivazioni ti hanno spinto a intrapendere la tua professione? Con quali difficoltà ti sei scontrato?

Mi sono innamorato di questa professione in maniera indiretta: osservando l'amore che i lettori madrelingua mettevano nelle lezioni di lingua. Alla fine ho detto: "Ma anch'io come loro posso far conoscere, imparare e apprezzare la mia lingua a chi non la conosce"! E così è iniziata una sfida con me stesso.

Purtroppo però la professione di insegnante di italiano L2 non è adeguatamente riconosciuta e tutelata e tra le istituzioni regna la confusione. Presidi, assistenti sociali e dirigenti sono convinti che per poter insegnare l'italiano agli stranieri sia sufficiente una laurea in lettere e molti bandi di selezione, infatti, richiedono solo la laurea in lettere senza corsi di specializzazione o master. Tutto questo perché non esiste una classe di concorso per gli insegnanti di italiano L2!

Qual è la tua attuale occupazione? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Attualmente mi divido tra la professione di Guida Turistica presso due siti archeologici e la professione (svolta a livello di volontariato) di insegnante di italiano l2, lingue straniere e lingua sarda. I miei progetti per il futuro sono tanti e spero di poterli realizzare quanto prima. Vorrei accreditarmi come esaminatore ufficiale per le certificazioni rilasciate dall'Università per gli Stranieri di Perugia e, quanto prima, vorrei iscrivermi a un master in didattica dell'italiano L2.

L'anno scorso ho deciso di sperimentare le mie conoscenze/competenze mettendole a disposizione degli altri. Ho così creato un'associazione culturale che si occupa di servizi didattici e culturali (corsi di lingua italiana in presenza e a distanza, corsi e laboratori di altre lingue e ora stiamo progettando un corso per guide turistiche che, probabilmente, partirà questo autunno). Attraverso l'associazione, con la collaborazione dell'Assessorato alla Pubblica Istruzione di un comune, ho avviato un corso di lingua italiana per stranieri e, a breve, partirà anche un corso di alfabetizzazione alla lingua italiana rivolto ai rifugiati libici. Tutte queste attività sono svolte per lo più per passione, dedizione e "volontariato". Tra i progetti futuri (programmati per questo autunno) ci sarebbe un workshop di lingua e cultura italiana per stranieri che culminerà con un gemellaggio gastronomico (però sto aspettando l'approvazione da parte del competente Assessorato Provinciale).

Oggi l'immigrazione costituisce sempre più un'emergenza sociale. Aumentano i flussi migratori e aumentano i casi di discriminazione razziale. Qual è la tua idea sull'attuale condizione degli immigrati in Italia? Come andrebbe gestita dagli enti governativi?

Vivo in una terra che ha conosciuto questo fenomeno in tempi recenti per cui non ho una grande esperienza in fatto di immigrazioni di massa. Ora che la mia comunità sta vivendo il dramma dei profughi libici ho toccato con mano la paura che ha la gente comune nei confronti degli immigrati. Paura che, troppo spesso, si trasforma in discriminazione razziale e in egoismo. Penso che l'Italia debba lavorare ancora tanto in questo settore, creando le condizioni ottimali per una pacifica convivenza tra culture, cosa che si potrebbe attuare partendo dal basso, per poi coinvolgere tutti gli strati sociali.

Ad un giovane che sogna di lavorare come insegnante di lingua italiana per stranieri, quali consigli senti di dargli?

Consiglio di studiare, studiare e studiare e di iniziare come volontario per "farsi le ossa" e capire che questa professione non è un lavoro come tanti, ma è una missione.

domenica 20 novembre 2011

la prassi per un corretto inserimento scolastico di un alunno non italofono

L’ACCOGLIENZA

Nella scuola opera all’inizio e durante tutto l’anno scolastico la commissione accoglienza, si tratta di una commissione formata dal dirigente scolastico, da alcuni docenti dell’istituto (uno dei docenti ne è il referente) e, in alcuni casi, anche da mediatori culturali e da genitori.

La commissione si riunisce nei casi d’inserimento di alunni neoarrivati per progettare azioni comuni, per monitorare i progetti esistenti e per operare un raccordo tra le diverse realtà.

Viene deliberato un protocollo d’accoglienza che illustra le procedure che la scuola segue per l’iscrizione e l’inserimento di alunni stranieri. Negli istituti dove non è stata ancora costituita una commissione accoglienza, opera in materia il collegio dei docenti.

La scuola si propone di:

- facilitare l’ingresso a scuola dei bambini stranieri;

- sostenerli nella fase d’adattamento;

- entrare in relazione con la famiglia immigrata;

- favorire un clima d’accoglienza nella scuola;

- promuovere la collaborazione tra le scuole e tra scuola e territorio sui temi dell’accoglienza e dell’educazione interculturale.

L’ISCRIZIONE

L’iscrizione è il primo passo del percorso di accoglienza dell’alunno straniero e della sua famiglia. La scuola individua nell’ufficio di segreteria un incaricato che segua il ricevimento di questo tipo di iscrizioni in modo continuativo.

La segreteria ha il compito di iscrivere l’alunno utilizzando una modulistica bilingue, di raccogliere i documenti scolastici e/o autocertificazioni relativi alla precedente scolarità, il permesso di soggiorno e i documenti sanitari, di fornire ai genitori una modulistica bilingue per facilitare loro la comunicazione con gli insegnanti, di fissare un primo incontro tra famiglia e commissione accoglienza (se necessario alla presenza di un mediatore linguistico), di acquisire l´opzione di avvalersi o non avvalersi della religione cattolica.

La scelta della sezione da parte del capo di istituto, sentiti gli insegnanti interessati, deve essere effettuata tenendo conto del numero di alunni per classe, della presenza di altri alunni stranieri e delle problematiche rilevanti nella classe.

La commissione accoglienza esamina la prima documentazione raccolta in segreteria all’atto dell’iscrizione ed effettua il primo colloquio (se necessario alla presenza di un mediatore linguistico) con l’alunno, la famiglia e un rappresentante del futuro team docente. Il colloquio è finalizzato:

- a raccogliere informazioni sulla situazione familiare e sulla storia personale e scolastica dell’alunno;

- a fornire informazioni sull’organizzazione della scuola;

- a far presente la necessità di una collaborazione continuativa tra scuola e famiglia.

La classe d’inserimento viene decisa sulla base dei dati raccolti, si tiene conto soprattutto dell’età anagrafica e dell’ordinamento degli studi del paese di provenienza. La commissione trasmette tutte le informazioni al consiglio di classe che accoglierà il nuovo iscritto.

È opportuno tenere conto che l’inserimento in una classe di coetanei, che appare la scelta da privilegiare, consente al neoarrivato:

- di instaurare rapporti più significativi, alla pari con i nuovi compagni;

- di evitare un pesante ritardo scolastico;

- di ridurre il rischio di dispersione scolastica.

Tuttavia la commissione accoglienza può deliberare l'assegnazione di una classe diversa tenendo conto:

- dell’ordinamento degli studi del paese d'origine;

- delle competenze e del livello di preparazione dell'alunno;

- del corso di studi eventualmente seguito;

- del titolo di studio conseguito precedentemente.

In mancanza di una documentazione certificata, si può in ogni modo deliberare l'iscrizione sulla base delle competenze accertate mediante prove di ingresso.

La normativa prevede l'inserimento di un alunno straniero, in una classe di una scuola italiana, con un’età anagrafica diversa al massimo di un anno, ma non è affatto raro il caso di minori iscritti anche a 2 o 3 classi inferiori. Questo avviene perché in assenza di chiari criteri di valutazione, alcuni insegnanti pensano che l'abbassamento di classe di due o tre anni sia più adatto alle competenze linguistiche dell'alunno o alle competenze scolastiche acquisite nel paese di origine, valutabili al momento.
Di solito, dopo qualche tempo, l'alunno straniero (che per età anagrafica è più maturo rispetto ai più giovani compagni di classe), dimostra un buon recupero sul piano dell'apprendimento scolastico. La scuola si rende conto del divario d'età tra il minore straniero e i suoi coetanei di classe, ma non sa più come trasferirlo ad una classe superiore, più adatta alla sua età anagrafica e alle sue competenze. In altri casi, l'alunno straniero, che si trova inserito con alunni di età inferiore, si sente a disagio e perde la motivazione allo studio. Per evitare questi gravi inconvenienti occorre che il criterio dell'età anagrafica sia il più possibile rispettato, quando si decide l'assegnazione alla classe. Spesso si confonde la difficoltà rappresentata dalle scarse competenze linguistiche in italiano, con il livello di apprendimento scolastico già raggiunto nel paese di origine.

L’INSERIMENTO NELLA CLASSE

Fra l’atto formale dell’iscrizione e l’effettivo inserimento in classe può passare massimo una settimana, questo lasso di tempo permette di curare l’inserimento stesso. I docenti informano i compagni del nuovo arrivo e creano un clima positivo di attesa dedicando del tempo ad attività di benvenuto e conoscenza, preparando cartelli di benvenuto nella lingua d’origine e una carta geografica che evidenzia il paese di provenienza. Individuano un alunno particolarmente adatto a svolgere la funzione di tutor (tutoring tra pari). Rilevano i bisogni specifici di apprendimento, applicano modalità di semplificazione dei contenuti e di facilitazione linguistica per ogni disciplina, stabilendo contenuti minimi ed adattando ad essi la verifica e la valutazione.

La commissione promuove l’attuazione di laboratori linguistici, individua risorse interne ed esterne alla scuola e spazi adeguati, facilita il coordinamento tra gli insegnanti che si occupano di alfabetizzazione (si può trattare di docenti interni all’istituto oppure di esperti esterni).

Sarebbe utile creare nella biblioteca scolastica un’area dove raccogliere e poter consultare:

- testi per l’acquisizione dell’italiano come L2;

- testi di didattica interculturale;

- raccolte di normative scolastiche sull’inserimento dell’alunno straniero;

- materiali multimediali.

La scuola deve sostenere l'alunno inserito con azioni didattiche individualizzate e con modalità flessibili di lavoro, soprattutto nei primi mesi di inserimento, al fine di prevenire successivi insuccessi scolastici. La commissione effettua, se necessario, un colloquio in itinere con la famiglia, l’alunno e un membro del team docente, dopo qualche mese, per valutare l’inserimento e rilevare le difficoltà.

Sulla base del documento di valutazione degli alunni stranieri approvato dal collegio dei docenti, si stabiliscono prove di verifica congrue alla programmazione svolta: si graduano le prove stesse,

si fissano gli obiettivi minimi previsti per gli alunni stranieri che hanno seguito percorsi didattici personalizzati e si individuano i criteri essenziali per la conduzione delle prove orali.

IL PIANO EDUCATIVO PERSONALIZZATO (P. E. P.)

Il consiglio di classe, oltre ad assegnare all’alunno straniero un tutor applicando il cosiddetto tutoring tra pari (esaminato nel precedente modulo di questo corso), può fissare i suoi bisogni specifici di apprendimento per elaborare un piano di studio personalizzato.

Per l’applicazione di un piano di studio personalizzato occorre:

- individuare ed applicare le modalità di semplificazione dei contenuti e di facilitazione linguistica per ogni disciplina;

- stabilire i contenuti essenziali ed adattare ad essi le metodologie didattiche, la verifica e la valutazione delle competenze acquisite;

- stabilire criteri, modalità e strumenti di valutazione periodica e di eventuale esame finale coerenti con il piano educativo personalizzato;

- informare la famiglia del percorso formativo predisposto dalla scuola.

18 ius soli, la mia intervista a Fred Kuwornu

Chi nasce in Italia da genitori stranieri, non è considerato dalla Stato un cittadino italiano. È un immigrato come i suoi genitori fino ai 18 anni. Solo alla maggiore età può avanzare la richiesta per ottenere la cittadinanza. Un altro aspetto su cui riflettere è quello socio-culturale: la maggior parte della popolazione non riesce a pensare che un ragazzo con un colore della pelle diverso possa essere un italiano. Agli inizi del mese di novembre, ho contattato e intervistato Fred Kuwornu, il regista del documentario “ 18 ius soli” uscito lo scorso mese di ottobre. Un lavoro che raccoglie le storie dei ragazzi italiani di seconda generazione.

Chi è Fred Kuwornu? Come ti presenteresti a coloro che non ti conoscono?

Ho iniziato a lavorare nel mondo dello spettacolo da giovanissimo. Mentre studiavo al liceo scientifico, conducevo programmi e ideavo programmi radiofonici. Dopo la laurea in Scienze Politiche ho continuato nel mondo televisivo sempre come autore di programmi e format, fino a che un incontro di lavoro con il regista americano Spike Lee, mio idolo da quando ero teenager, ha prodotto in me tantissimi cambiamenti che in pochi anni mi hanno trasformato da operaio dell’ entertainment in produttore e regista di documentari e film sociali, alcuni dei quali come “Inside Buffalo” mi hanno proiettato nei circuiti istituzionali americani legati al mondo militare, ma anche a quello associativo, dei diritti civili e del valore delle diversity.

Ho deciso quindi di investire nel mio Paese, l’Italia, tutto il sapere che ho accumulato, unendo il marketing alle campagne sociali, i film come mezzo d’espressione al cambiamento della società, le pubbliche relazioni e le relazioni istituzionali come mezzo per “scassare” questa Italia stantia, che fa fatica ad aprirsi. Da solo, senza la forza di grandi associazioni o partiti, ho messo in piedi una campagna sociale a cui lavoro da due anni, la quale proprio in questi giorni decollerà nei media nazionali, conscio della lezione che ho imparato negli Stati Uniti, dove nessuna campagna sociale di sensibilizzazione può essere letta dall’opinione pubblica come un campagna di un partito politico, pena la stroncatura sul nascere della campagna stessa, ma deve essere affidata ai soggetti che rivendicano gli obiettivi della campagna.

“ 18 Ius Soli” il documentario, che ho prodotto e che adesso sta girando, non solo è subito diventato un manifesto per la lotta di questi ragazzi a essere riconosciuti cittadini italiani, ma è anche uno dei primi documentari che valorizzano e mostrano il tema delle diversity, concetto nuovo in Italia almeno in questo secondo millennio, considerato che il nostro paese, all’epoca dell’Impero romano, è stato forse il primo grande Stato multietnico della Storia

Il titolo del tuo documentario è di per sé molto significativo. Ce lo spieghi?

I 18 anni per molti italiani sono un momento indimenticabile, si diventa grandi e si sceglie che università frequentare, magari si fa anche il primo viaggio intercontinentale. Per molti ragazzi nati in Italia da genitori non cittadini italiani costituiscono un incubo, perché improvvisamente diventano stranieri nella loro nazione, dovendo ancorare la loro vita ad un permesso di soggiorno. Molti di loro infatti non diventano immediatamente cittadini italiani, la nostra burocrazia e le nostre obsoleti leggi in termine di cittadinanza tengono in ostaggio le loro vite.

Hai scelto tutti ragazzi impegnati nel sociale e negli studi, perché?

Ovviamente non è la realtà di tutti i ragazzi di Seconda Generazione, come non lo è di tutti i ragazzi italiani in genere, anche se è vero, che spesso, le persone che non hanno un posto nella società, sono molto impegnate nel sociale, proprio perché più sensibili a molti temi. Ad ogni modo volevo raccontare, dopo tanti documentari, dal taglio "deviante", nel senso che mostrano più i lati oscuri di questi ragazzi che quelli solari, qualche storia che ci aiutasse a comprendere quanto l'Italia abbia bisogno di loro. Negli Stati moderni, la cittadinanza, ha lo scopo di rendere partecipe e trattenere sul proprio suolo quelle persone che servono al sistema del Paese.

In Italia molti faticano a considerare come italiano una persona con un colore della pelle diverso. Perché secondo te c’è ancora questa percezione?Quali effetti hanno sulla persona?

Come ben sappiamo la televisione, quella italiana, non ha sufficientemente rappresentato la nuova Italia, ne so io qualcosa che ho lavorato dietro le quinte e che ho lottato con produttori, sceneggiatori e autori affinché iniziassero a inserire nelle fiction, nei programmi tv e nei film, ragazzi italiani di origine straniera, proprio perché l’italiano medio, che si ciba di televisione e prodotti mediatici, assorbisse nella sua coscienza il cambiamento dell’Italia, così come successe quando la Rai negli anni cinquanta unì il nord con il sud e i vari regionalismi italiani con una grande operazione culturale. Questa missione di chi fa televisione o si occupa dei media è veramente mancata e per me è la principale causa dell’apparente chiusura dell’italiano “medio” sul tema del diritto di cittadinanza, proprio perché non è stato abituato a vedere italiani d’origine straniera all’interno della società identificandoli subito come italiani e non come immigrati. Per questa ragione ho creato Diversity.It un grande incubatore mediatico che vuole sensibilizzare gli addetti ai lavori dei media, ma anche le grandi aziende, a credere ed applicare nella realtà il concetto della valorizzazione delle Differenze, in modo che in pochi anni sarà anche in Italia normale vedere ragazze e ragazzi di qualunque origine ricoprire qualsiasi ruolo all’interno della società, nel pubblico come nel privato, a livello di imprenditore così come di dirigente.

Quale contributo speri che il tuo documentario possa dare? Al momento quali sono le iniziative che mirano a far cambiare le attuali leggi sulla cittadinanza?

Nel mio piccolo vi invito ad essere parte di questo cambiamento visitando la pagina facebook 18 Ius Soli o il sito web www.sononatoqui.it , piattaforme permanenti che serviranno a sensibilizzare le persone sul tema delle Diversity da una prospettiva nazionale. Poi ci sono tanti disegni di legge in parlamento e tante iniziative sul territorio, ma ribadisco, fino a che non si cambierà la percezione comune dell'italiano medio in termini di pensiero culturale, nessuna legge potrà trovare completezza ed autorevolezza nella società, se non accompagnata anche da un cambiamento culturale. Per cui tutti si debbono sforzare a cercare di conoscersi a vicenda.

Potremmo vedere “18 ius soli” anche qui a Firenze?

Sì, il 19 novembre faremmo una proiezione a Firenze presso l'Università.

dal 9 dicembre 2010 test di lingua italiana per richiedere i permessi di soggiorno di lungo periodo

Il Ministero dell'Interno con il decreto del 4 giugno 2010 ha stabilito che gli stranieri, regolarmente soggiornanti in Italia da almeno cinque anni e con un'età uguale o superiore ai 14 anni, devono sostenere e superare un test di lingua italiana di livello A2 per poter richiedere e ottenere il permesso di soggiorno di lunga durata. Il test è obbligatorio dal 9 dicembre 2010. Le prefetture territorialmente competenti in base al domicilio accolgono le richieste di partecipazione ai test via web e convocano gli interessati per lo svolgimento delle prove. Se l'esito del test è positivo, può essere presentata la domanda per il permesso di soggiorno di lungo periodo, un'anticamera per la cittadinanza.

Quale livello di competenza linguistica viene richiesto? In cosa consistono le prove?

I test somministrati presso i C.P.I.A. ( Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti, per capirsi si tratta degli ormai ex C.T.P., ossia i Centri Territoriali Permanenti presenti all'interno di una o più scuole statali di una provincia ) accertano che le competenze comunicative dei candidati siano pari al livello A2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento. Il Q.C.E.R. è un documento con il quale il Consiglio d'Europa ha fissato i descrittori della competenza comunicativa individuando sei livelli comuni utilizzabili per ogni apprendente e per tutte le lingue europee. Rispetto alla tradizionale suddivisione, A1 e A2 corrispondono al livello elementare, B1 e B2 al livello intermedio e C1 e C2 al livello avanzato. Agli stranieri in Italia viene, pertanto, richiesta una competenza comunicativa elementare.
Questa è sinteticamente la struttura delle prove:

- prima prova ( della durata di 25 minuti ): ascolto di un testo registrato e domande con risposta multipla, abbinamento e vero/falso per verificare la comprensione;

- seconda prova ( 25 minuti ): lettura di un testo e verifica della comprensione con domande a risposta aperta e cinque brevi frasi da abbinare alle relative vignette descrittive;

- terza prova ( 10 minuti ): produzione scritta ( per esempio scrivere una lettera, un'email ecc. ).

La prova viene superata se il candidato ottiene un risultato positivo almeno nell'80% del punteggio. Chi prepara i test? Sono gli uffici scolastici provinciali a mettere a punto e a supervisionare i test in base alle indicazioni del Ministero dell'Interno.

Chi può ottenere l'agognato permesso di soggiorno di lungo periodo evitando di sostenere i test?

Uno straniero può evitare di sottoporsi ai suddetti test se possiede:

- attestati o titoli che certifichino la conoscenza della lingua italiana ad un livello non inferiore ad A2 rilasciati dagli enti certificatori ( Università degli Studi Roma Tre, Università per Stranieri di Perugia, Università per Stranieri di Siena e Società Dante Alighieri ) riconosciuti dal Ministero degli Affari Esteri e dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca;
- un diploma di scuola secondaria italiana di primo o secondo grado;

- un riconoscimento del livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2;

- un'attestazione che l'ingresso in Italia è avvenuto ai sensi dell'art. 27, co. 1 lett. a), c), d), q) del decreto legislativo 286/98 e successive modificazioni.

Anche nel caso in cui lo straniero è affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall'età, da patologie o handicap, il superamento del test non è richiesto.

Ci sono ombre e perplessità?

Da dicembre 2010 ad aprile 2011 la richiesta di informazioni e le iscrizioni ai test sono state costantemente in aumento. Le nostre istituzioni devono fare attenzione a non chiedere il superamento di una prova senza prima aver creato le condizioni concrete per la preparazione linguistica delle persone coinvolte. Il rischio è l'esclusione di coloro che vivono in zone dove non ci sono fondi per organizzare appositi corsi. I C.P.I.A. sono presenti nelle scuole statali, pertanto anch'essi risentono e risentiranno dei pesanti tagli alle risorse economiche e di personale della scuola ad opera dell'attuale governo. Oggigiorno è evidente che si sta abbassando la qualità dell'apprendimento per tutti gli studenti e si è in difficoltà di fronte alla domanda crescente di strumenti linguistici, culturali e di titoli di studio da parte della popolazione non italofona. Questa situazione è grave perché l'Italia è una nazione sempre più multiculturale. Se le istituzioni pubbliche si dovessero rivelare incapaci di sostenere uno strumento utile per favorire l'integrazione per gli stranieri, quale la conoscenza della lingua italiana, l'iniziativa in tale campo resterebbe in mano solo al lavoro delle associazioni di volontariato e alla speculazioni di strutture private....con quali risultati? Purtroppo è facile prevederli.