la danza

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venerdì 22 marzo 2013

l'acquisizione della cittadinanza


Nel momento in cui una persona ottiene la cittadinanza, appartiene giuridicamente ad una collettività chiamata “ Stato ”. Con la CITTADINANZA ITALIANA si acquisiscono diritti e si hanno dei doveri nei confronti dello Stato.
Hai diritto alla protezione diplomatica e militare, all’aiuto economico quando sei all’estero, all’assistenza sanitaria, a borse di studio, alla pensione minima, alla casa pubblica, alla partecipazione ai concorsi per lavorare come impiegato pubblico,  all’accesso agli albi professionali, all’inserimento nell’esercito, a votare  e ad essere eletto.
Chi non è cittadino italiano, non è neanche cittadino dell’Unione Europea, pertanto non può circolare e soggiornare liberamente nei 27 paesi dell’U.E.
Si può facilmente dedurre che il nostro ordinamento giuridico riconosce solo al cittadino italiano la pienezza  dei diritti civili e politici.


mercoledì 13 febbraio 2013

report del dibattito dopo la proiezione fiorentina del film “Sta per piovere”


I diritti degli italiani di seconda generazione riguardano tutti. La loro presenza è consistente, sono un dato di fatto, pertanto, insieme a tutta la popolazione presente sulla penisola, devono entrare in  un nuovo patto sociale.  
Alcuni termini ed espressioni di uso comune andrebbero sostituiti con altri più appropriati: “ inclusione” al posto di “integrazione”, “nuovi italiani” al posto di “stranieri” e “riconosciamo la cittadinanza” anziché “ concediamo la cittadinanza”. Il termine razza è assolutamente improponibile!

Occorre rivedere tutto il sistema normativo sul tema dell’immigrazione: abrogare la legge Bossi-Fini, emanare una legge che introduca la cittadinanza tramite ius soli per i bambini nati in Italia da genitori immigrati, abrogare il reato di clandestinità, non trattenere gli immigrati in centri di accoglienza, semplificare la normativa sugli ingressi, abrogare la tassa sul permesso di soggiorno, non permettere che dopo 10 anni di lavoro regolare una persona possa essere espulsa ( basta tener conto della disoccupazione causata dalle crisi economiche ), riconoscere il diritto di voto amministrativo per  stimolare una maggiore partecipazione alla vita sociale, facilitare le ricongiunzioni familiari, riformare il diritto di asilo, evitare accordi come quello stabilito tra Gheddafi e Belusconi . Basta con le sanatorie!

Nei paesi europei un elemento di tensione sociale è costituito dalle seconde generazioni, poiché si tratta di persone che si sentono figli di quel paese, ma non vengono riconosciuti come cittadini. Non commettiamo gli stessi errori! Affrontiamo la questione in maniera organica!   

L’11% del PIL italiano è dato da 5 milioni di stranieri. Inoltre, all’INPS vengono versati 8 miliardi dagli immigrati. Un algerino che va a invecchiare nel suo paese natale, ha versato i contributi in Italia, ma non avrà la pensione che si è pagato perché non ci sono accordi specifici tra  Italia e Algeria.

Una politica per l’immigrazione e per  i nuovi italiani non può essere calata dall’alto, poiché può essere vista come una concessione di privilegi. È necessaria una battaglia culturale per non spaventare gli italiani colpiti dalla crisi. Questa battaglia va portata avanti nell’associazionismo in situazioni auto organizzate. Occorre tenere in vita e rinvigorire le esperienze locali delle consulte e dei consigli degli stranieri.

È interessante notare che la nostra Costituzione parla di lavoratori e non di cittadini, pertanto sgancia i diritti fondamentali dal possesso della cittadinanza italiana.

Il razzismo che fa più paura è quello che ci permette di mantenere un certo tenore di vita sfruttando gli immigrati. A chi lasciamo una persona anziana? Per soli 700/1000 euro c’è una badante straniera che lavora 24 ore su 24 con un solo giorno libero. Questi turni vanno oltre ogni contratto di lavoro.

Se in un quartiere c’è una forte presenza di arabi, perché non creare una scuola bilingue italiano-arabo? In tal modo quella presenza diventa una ricchezza culturale e umana. Il bambino italofono apprenderà una lingua straniera dialogando con l’insegnante e con i compagni.  

     

domenica 27 gennaio 2013

un metodo comunicativo denominato world cafè


Nelle conferenze e nelle presentazioni la comunicazione è univoca: pochi esprimono le proprie proposte, mentre il resto della platea ascolta passivamente. Nella pausa caffè accade, invece, che tutti interagiscono e tirano fuori tantissime idee e soluzioni. Perché non organizzare un incontro concependolo come le conversazioni davanti a un caffè?  

Occorre prima di tutto un luogo accogliente che dia sicurezza e stimoli la partecipazione creativa e attiva di tutti. L’organizzatore è il Cafè Host: una persona attenta, flessibile ed empatica. Insieme ad un gruppo, decide la domanda che sarà il punto di partenza per le discussioni. Una domanda che deve essere chiara e stimolante, la sua formulazione è fondamentale per la buona riuscita del World Cafè. Una domanda aperta, non di quelle che hanno come risposte sì e no. Una domanda che non implica la ricerca immediata, ma che incoraggia l’indagine, la ricerca e la scoperta delle soluzioni efficaci.

Si prepara la sala con tanti piccoli tavoli, ciascuno con meno di 10 sedie. Su ognuno ci sono un cartellone, colori, penne e un vaso di fiori per accogliere idee e disegni dei partecipanti. Si dispone un buffet di dolci e bevande a cui attingere in estrema libertà durante tutto il tempo.
Il Cafè Host dà il benvenuto e spiega il motivo del raduno e il metodo comunicativo denominato World Cafè. Illustra le seguenti regole:

1 Concentrati su ciò che è importante.
2 Contribuisci con le tue idee.
3 Parla con la tua mente e il tuo cuore.
4 Ascolta per comprendere.
5 Collega e connetti le idee.
6 Ascolta insieme agli altri, alla ricerca di intuizioni e domande più profonde.
7 Gioca, scarabocchia, disegna - scrivere sulle tovaglie è da incoraggiare!
8 Divertiti!!!

Pone la domanda e invita ognuno a esprimere brevemente su un post it un’idea o un pensiero connesso. I post it vengono attaccati su una parete vuota, il Café Host raccoglie quelli affini in 4/5 insiemi. Ogni insieme rappresenta un gruppo di discussione che si costituirà intorno ad un tavolino. Cerca tra i partecipanti coloro che vogliono offrirsi come padroni di casa, ossia coloro che restano fissi ad un tavolo e si preoccupano di redigere un verbale. Si formano 4 gruppi e si stabiliscono 4 turni di conversazione di circa 20/30 minuti ciascuno. Un partecipante ha così la possibilità di prendere parte alle discussioni di tutti e 4 i gruppi. Il Cafè Host si preoccupa di tenere il tempo e di invitare a ruotare, quando il tempo di un turno è scaduto. Il padrone di casa accoglie a ogni turno i nuovi e sintetizza la discussione precedente, li incita a scrivere idee e a scarabocchiare sul cartellone, a essere creativi e ad esprimere le proprie proposte.

Idee, domande e temi iniziano a collegarsi e a intrecciarsi dopo il secondo turno. Alla fine dei 4 turni di conversazione, l’intero gruppo si riunisce per condividere le intuizioni e le soluzioni. Ogni padrone di casa presenta il report e il cartellone. Può essere realizzato un unico cartellone contenente le soluzioni condivise. 



domenica 20 gennaio 2013

open space technology: una sintesi sull'uso


L’Open Space Technology è un metodo comunicativo, creato da Harrison Owen, che permette di gestire un workshop con un numero di partecipanti che può variare da 5 a 2000. Un conduttore fornisce gli strumenti affinché i partecipanti si autorganizzino in gruppi di discussione e arrivino a proposte e decisioni condivise partendo da un argomento ben definito.  

LA PREPARAZIONE

Un gruppo ristretto di persone, appartenenti ad un’associazione o ad un movimento, nel momento in cui decide di organizzare una riunione utilizzando l’Open Space Technology, sceglie chi invitare e informa i partecipanti, in modo che vi prendano parte solo coloro che sono interessati a sperimentare un modo di comunicare diverso da quello a cui si è abituati. I promotori decidono un argomento chiaro, che possa essere sentito da tutti. Un argomento che stimoli la ricerca e che abbia una sua specificità in moda tale da dare una direzione ai gruppi di discussione. Inutile fornire i dettagli dell’argomento nei giorni precedenti all’evento, può essere controproducente poiché induce a credere che la propria partecipazione non possa dare alcun contributo: quello che c’è da dire è già stato detto!
Si allestisce un luogo confortevole costituito da una stanza centrale e da altri piccoli spazi. Nella stanza centrale non servono scrivanie e tavoli, ma solo sedie disposte in cerchio con lo spazio al centro e una parete vuota. L’evento deve durare almeno 5 ore, si può arrivare anche a  2/3 giorni, dipende da ciò deve venir fuori: una semplice scelta tra più elementi? Un piano energetico?

L’INIZIO E LA FASE INTERMEDIA

Il conduttore dell’open space deve rinunciare ad un controllo del gruppo, è semplicemente un presentatore e un facilitatore quando sorgono problemi nello svolgimento. Introduce il metodo comunicativo, definisce i tempi di discussione, con una breve frase presenta l’argomento da affrontare, illustra l’articolazione dell’incontro, apre e chiude lo spazio di discussione, coordina le conclusioni.
Il conduttore accoglie i partecipanti nella stanza centrale, dalla quale si raggiungono gli altri spazi destinati ai sottogruppi che si costituiranno. Fa notare il muro vuoto: non c’è altro programma di lavoro se non quello che i partecipanti stessi proporranno! Distribuito un cartoncino ad ognuno, chi vuole può scrivere opportunità e aspetti connessi all’argomento della discussione.  I cartoncini vanno attaccati con un adesivo al muro.  Quando uno è pronto si alza e legge ad alta voce la propria proposta e/o osservazione e la fissa  alla parete. Il conduttore, dopo aver fatto notare tutti i contributi visibili, invita gli autori a scrivere l’orario e lo spazio scelto tra quelli disponibili, in cui il gruppo di discussione si riunisce. Ovviamente prima della riunione, deve aver disposto un elenco degli spazi con i loro nomi. Tutti coloro che non hanno scritto nulla, leggono quelli proposti e decidono a quale gruppo iscriversi, secondo i propri interessi e il contributo che si pensa di saper dare.  In ogni gruppo un membro si preoccupa di redigere un report della discussione utile per il momento conclusivo, in cui ci si ritroverà tutti di nuovo nella stanza centrale.
Il conduttore, per una buona riuscita dell’open space, scrive su un foglio grande i Quattro Principi e la legge guida:  1 chiunque venga è una persona giusta, 2 qualsiasi cosa accada è l’unica che poteva accadere, 3 in qualsiasi momento cominci, è il momento giusto,  4 quando è finita, è finita. La legge è quella dei due piedi:  se una persona in un gruppo si annoia o scopre di non essere più interessato, meglio spostarsi in un altro gruppo, piuttosto che restare senza fornire alcun contributo o peggio ancora rovinando con la lamentela o un atteggiamento demotivante l’attività in corso.
Anziché prevedere la pausa caffè nel corso di 4/5 ore di discussione, si prepara nella stanza centrale un buffet di dolci e bevande calde e fresche. In questo modo non si interrompe una discussione importante e ognuno si sente libero di fermarsi quando lo desidera. I partecipanti devono sentirsi liberi di muoversi, bere un caffè e cambiare gruppo .

LA CONCLUSIONE

Quando i gruppi raggiungono gli spazi ben indicati dai cartelli, il conduttore resta nella stanza centrale di fronte al muro coperto dai cartoncini. È a disposizione dei partecipanti che si sentono disorientati. Gira frequentemente  tra gli altri spazi e interviene indirettamente se nota un problema.
Scaduti i tempi fissati per i gruppi di discussione, tutti ritornano nella spazio centrale, sempre seduti in cerchio. Per ogni gruppo, uno legge il report, meglio se scritto con un pc portatile. Il conduttore presenta gli impegni presi e ricorda gli appuntamenti successivi. Chi vuole può esprimersi sull'esperienza appena vissuta.


mercoledì 16 gennaio 2013

la grammatica dal testo


UNA MIA GUIDA ALLA GRAMMATICA TESTUALE
NELLA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

per uno studio della grammatica fondato
sull’analisi globale del testo

  
LA GRAMMATICA TESTUALE
A partire dagli anni ’70 la linguistica considera, come unità di analisi del linguaggio, il testo e non più la frase. I parlanti di una lingua sono capaci di produrre, capire e comunicare non solo tramite frasi, ma anche attraverso testi. Un testo è la vera unità comunicativa di una lingua: l’unica che abbia significato pieno, compiuto e indipendente. Conseguentemente la grammatica più adatta ad esplicitare e rappresentare la competenza linguistica di un parlante non è più quella frasale, cioè quella che studia i rapporti interni alle frasi; sorge, pertanto, la necessità di ricorrere ad una grammatica testuale, che si occupa dei rapporti tra le frasi che costituiscono un testo.

LA SCOPERTA DELLA REGOLA
Lo studio della grammatica deve essere fondamentalmente una riflessione linguistica, è lo studente che scopre le regolarità di una lingua, elabora e verifica ipotesi, sotto la guida dell’insegnante che promuove l’autonomia. Le regole non sono delle norme inalterabili, ma meccanismi di funzionamento della lingua e riguardano tutti gli aspetti legati alla comunicazione. Occorre promuovere la motivazione dell’alunno con il piacere della scoperta e della risoluzione di un problema.
È preferibile un metodo induttivo: si parte da un testo per arrivare ad estrapolare una regola. Gli studenti vengono guidati a scoprire alcune delle regole dell’italiano che hanno introiettato fin dall’infanzia, ma di cui non hanno ancora una conoscenza pienamente consapevole, articolata ed esplicita. Si pongono alla classe una o più domande che stimolino la riflessione, la ricerca di una soluzione e la manipolazione. Per esempio: in italiano l’articolo precede sempre il nome? Dopo aver posto il problema con una domanda, il docente invita gli alunni a raccogliere dati ed esempi, sia dalla lingua parlata che da quella scritta ( giornali, libri di testo, siti web, ecc. ). Gli studenti trascrivono le citazioni scelte e indicano la fonte dalla quale sono tratte. Alla lezione successiva si portano i dati raccolti, sottoponendoli ad una riflessione collettiva dalla quale emergeranno una o più ipotesi. L’insegnante, anziché dare delle risposte, indirizza l’attenzione su aspetti giudicati importanti per la soluzione del problema ma non sufficientemente colti dalla classe. Dati, ipotesi e conclusioni vanno raccolti in un quaderno. Il docente nel corso dell’anno scolastico induce il miglioramento costante dell’organizzazione dei contenuti, della correttezza delle formulazioni linguistiche e della precisione della terminologia, suggerendo termini più tecnici ( così facendo favorisce l’acquisizione del metalinguaggio). Dopo aver adottato questo metodo di scoperta, il docente può ricorrere al libro di testo per una riflessione più generale e tradizionale, poiché in questo modo si dà organicità alle conoscenze. Non si può far grammatica senza un libro di testo, lo studente ha bisogno di sistemare le sue conoscenze e di apprendere la metalingua.

UN’ANALISI GLOBALE
Come è stato già detto occorre partire dal testo: prima di stabilire che cosa sono un aggettivo e un avverbio, è necessario mostrare come questi funzionano nella lingua vera. Si propone alla classe un testo riflettendo sulle sue caratteristiche e su una possibile definizione. Esso è un insieme di parole che hanno un senso, parole scelte e combinate tra loro in base al loro significato e a certe regole. L’autore scrive un testo che deve poter essere compreso e interpretato dal lettore. Oltre al rispetto delle regole morfologiche e sintattiche, segue le regole di scrittura stabilite per quella tipologia testuale. È chiaro che una lettera formale ha una struttura e un linguaggio diversi rispetto ad una relazione di scienze o ad una pagina di diario. Un testo deve essere coerente e coeso, coerente nel senso che deve avere un filo logico dall’inizio alla fine, mentre coeso nel senso che le parole devono essere legate tra loro in maniera corretta.
Nell’insegnamento della grammatica nella scuola secondaria di primo grado, tradizionalmente, si programma l’analisi grammaticale per la prima classe, quella logica per la seconda e quella del periodo per la terza. Il metodo globale non segue questa sequenza, ma propone i tre livelli di analisi già dalla prima classe. Si accorpano i tre livelli in un’analisi globale, ogni periodo viene analizzato a partire dagli elementi maggiori per giungere a quelli minori. Le frasi sono formate da sintagmi e i sintagmi da parole. Mentre l’analisi tradizionale è lineare, gli elementi si succedono semplicemente l’uno con l’altro, in un’analisi globale molti elementi non seguono gli altri, ma sono contenuti negli altri. La sintassi delle lingue funziona un po’ come le scatole cinesi, in cui ogni scatola è contenuta da un’altra. Questo metodo permette di ritornare più volte sullo stesso argomento, ciò è fondamentale anche in vista della preparazione alla prova Invalsi.  


UNA POSSIBILE PROGRAMMAZIONE MODULARE DA SVILUPPARE NEL CORSO DEL TRIENNIO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

Agli studenti si propone un brano. Si individuano i periodi e all’interno dei periodi, in base ai verbi presenti, le proposizioni. È un’occasione per riflettere sui legami stabiliti tra le frasi attraverso le congiunzioni, le preposizioni, gli avverbi, i pronomi e la punteggiatura. Nella divisione del periodo in proposizioni si considererà una proposizione unica quella formata da un verbo composto o da un verbo servile o fraseologico uniti al verbo che accompagnano. Il verbo è l’attore principale, il centro sintattico. Può essere uno qualsiasi oppure una voce del verbo essere seguita da un aggettivo o da un sostantivo, a questo punto si distingue tra predicato verbale e predicato nominale. Si individua il soggetto, poi successivamente il complemento oggetto e quello indiretto sulla base della transitività/intransitività del verbo. Si può ragionare sulla reggenza e concordanza verbali. Il soggetto e il complemento oggetto da che cosa sono costituiti? S’introducono le seguenti parti variabili del discorso: articolo, sostantivo, aggettivo e pronome. Poi si passa ai complementi indiretti e s’introducono le preposizioni e gli avverbi. Infine, si distinguono le proposizioni principali, coordinate e subordinate, e le congiunzioni coordinanti e subordinanti.
In ogni lezione si parte da un testo. Con domande o la tecnica del problem solving si stimola la riflessione linguistica e la scoperta delle regole alla base della struttura di un testo, delle funzioni logiche e dei diversi elementi grammaticali.

Modulo 1
In un brano si individuano i periodi e le proposizioni che costituiscono ciascun periodo. Nella divisione in proposizioni, si considera come una proposizione unica quella formata da un verbo composto o da un verbo servile o fraseologico uniti al verbo che accompagnano. Si cercano i legami stabiliti tra le frasi attraverso i connettivi che possono essere le congiunzioni, le preposizioni, gli avverbi, i pronomi e la punteggiatura
Elementi da analizzare: periodo, proposizione, voce verbale, verbo composto, verbo servile e verbo fraseologico, connettivi testuali.

Modulo 2
In una proposizione un verbo può essere costituito dalla voce del verbo essere seguita da un aggettivo oppure da un sostantivo ( predicato nominale ) oppure da una qualsiasi altro verbo ( predicato verbale ). Le coniugazioni, gli ausiliari, i modi e i tempi. Forma attiva, passiva e riflessiva. Verbi transitivi e intransitivi.

Modulo 3
Partendo dal verbo, s’individua il soggetto e si distingue ciò che lo segue come complemento oggetto o complemento indiretto. Il caso dei verbi impersonali.

Modulo 4
Il soggetto e il complemento oggetto sono accompagnati da attributi e apposizioni e sono costituiti da parti variabili del discorso: articoli, sostantivi, aggettivi e pronomi. Da considerare anche verbi e parti del discorso invariabili con funzione di sostantivi.

Modulo 5
Si analizzano i principali complementi indiretti introdotti da preposizioni, gli avverbi e le interiezioni.

Modulo 6
Le proposizioni principali, coordinate e subordinate. Le congiunzioni coordinanti e subordinanti.

Modulo 7
I principali tipi di proposizioni subordinate. 

                                                                          Luigi Napolitano
                                  

venerdì 4 gennaio 2013

radici arabe in Sicilia


Dall’827 fino al 1061 ( dal 652 si era già susseguiti numerosi tentativi di conquista ) la Sicilia fu dominata dagli Arabi, che risollevarono l’economia locale sviluppando l’agricoltura ( introdussero le colture del riso e degli agrumi e realizzarono opere di canalizzazione che consentirono l'uso razionale delle risorse idriche ) e i commerci, tanto che l’isola divenne il centro degli scambi di merci del Mediterraneo, grazie anche alla sua posizione strategica.
L’isola fino ad allora era abitata prevalentemente da greci e romani di Sicilia. La città di Palermo raggiunse i 100.000 abitanti. Si arricchì di moschee ( sia pubbliche che private ), bagni ( anch'essi pubblici e privati ), il porto, l'arsenale, le mura con le porte, le fortificazioni, i mulini, i fòndachi ( alloggi per mercanti stranieri ) e i mercati. L’arabo divenne la lingua ufficiale. I conquistatori praticavano l’Islam; non perseguitarono i cristiani, ma si facevano pagare loro una tassa la "gézia" consentendo la libertà di culto. Alla loro dominazione seguì quella normanno-cristiana.
Gli Arabi in due secoli lasciarono una forte impronta che né Normanni, né Svevi, né Spagnoli o Francesi sono riusciti a cancellare, ciò probabilmente fu dovuto alla loro forte integrazione con la popolazione autoctona. La cultura araba e quella italiana sono ancora profondamente vicine, sovrapponendosi in tanti casi, in Tunisia e in Sicilia. A livello culinario, basta pensare al cuscus, un piatto tipico sia del Nordafrica che della Sicilia Occidentale.  Si tratta di granelli di semola cotti a vapore con carni umide e verdure bollite, anche con il pesce nelle zone marine. A Trapani il condimento è dato dal brodo di pesce.
Il mercato di Ballarò, nella città di Palermo, costituisce un punto di vendita di primizie che giungono dalle campagne circostanti. Ci sono bancarelle coloratissime animate dalle abbanniate, cioè dai chiassosi richiami dei venditori. Il termine Ballarò deriva probabilmente da suq-al-Balari, che indica un insediamento mercantile presso Monreale da cui provengono i commercianti arabi che diedero vita a questo mercato. L’atmosfera e l’etimologia richiamano chiaramente il suq o suk, che per i popoli arabi è il luogo urbano deputato allo scambio delle merci.  
Nomi di città come Caltagirone, Calatafimi, Calatabiano, Caltabellota, utilizzano tutti il suffisso arabo "qalah" o "qalet" che sta per "castello". Invece, nel caso di Misilmeri, il nome deriva dall’espressione araba "manzil al-amir", o meglio, "villaggio dell’emiro". Stessa cosa per il feudo di Misiligiafari vicino Trapani: manzil al-Giafar, villaggio dell’Emiro Giafar, sovrano della dinastia Kalbita di Sicilia. Altri nomi di luoghi con particelle di vocaboli arabi: "marsa"  ( che in arabo sta per "porto" ) in Marsala e Marzamemi;  "gebel" ( in arabo sta per "monte" ) in Mongibello ( il secondo nome per il vulcano Etna ), Gibellina, Gibilmanna e Gibilrossa.