la danza

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martedì 16 maggio 2017

Un ambiente interculturale con alunno arabofono e musulmano ( aprile 2017 )

L’anno scorso a settembre, in una mia prima classe, è stato inserito Alì, un ragazzo egiziano, giunto in Italia tre anni prima, con una competenza linguistica corrispondente al livello B1. Ero sia il suo insegnante di lettere sia quello di italiano come L2.  
A novembre, seguendo il programma di storia, abbiamo affrontato la nascita dell’ISLAM; il libro di testo, alla fine del capitolo, offriva le schede su due questioni odierne molto spinose: il velo delle donne musulmane e il terrorismo islamico. Mi si è presentata l’occasione per una riflessione sulla possibilità di tentare un approccio interculturale, al fine di prevenire la nascita e il consolidamento di stereotipi tra i compagni di classe e di agevolare il suo inserimento nel gruppo. A 11/12 anni i ragazzi già possono essere influenzati da certi discorsi in famiglia: un genitore, per esempio, potrebbe individuare come responsabili  dell’aumento degli attentati terroristici in Europa tutti i migranti arabi. 
In una lezione del corso di alfabetizzazione ho preparato Alì sulla nascita dell’Islam attraverso un testo semplificato linguisticamente ( p.e. l’uso del presente storico al posto del passato remoto ) e ho verificato le sue conoscenze legate alle credenze e ai culti praticati. Ho potuto constatare con piacere una certa consapevolezza e una voglia di raccontare la vita religiosa della sua famiglia. Grazie a queste premesse, in classe ho potuto impostare una lezione dialogica, io e Alì insieme abbiamo presentato l’Islam da un punto di vista storico, poi Alì, guidato dalle mie domande, ha iniziato a parlare della vita religiosa di un musulmano ( la preghiera, il ramadan, ecc. ). I compagni lo ascoltavano con attenzione e con ammirazione, perché stava mostrando di avere delle conoscenze. Le loro domande sono diventate numerose quando Alì ha raccontato che la madre indossa il velo. I compagni hanno percepito l’uso del velo come una tradizione e una scelta. Una compagna di classe italofona ha preso la parola per dire ai compagni che era buddista e ha descritto la sua preghiera, inoltre tanti compagni hanno dichiarato di non seguire l’ora dell’insegnamento della religione cattolica. Ovviamente ho spinto i ragazzi a riflettere anche sugli aspetti negativi: le donne che sono costrette ad indossare il velo e i musulmani estremisti che decidono di diventare dei terroristi.
La lezione dialogica, i diversi punti di vista, la testimonianza diretta e il racconto della quotidianità hanno reso naturale e serena la discussione di questioni che appaiono complesse e conflittuali agli adulti, ma fortunatamente non agli undicenni.  

L’idea di creare un ambiente interculturale risulta stimolante per un insegnante disciplinare, ma non si va fino in fondo perché tante sono le motivazioni di questa mancanza: un senso di insicurezza e di perdita di certezze nella prospettiva di una revisione profonda delle modalità di insegnamento, la rinuncia al ruolo di unico possessore del sapere, la trattazione di culture e lingue che non si conoscono, il timore della perdita del controllo della classe nel passaggio dalla lezione frontale a quella dialogica, il faticoso lavoro casalingo di revisione dei contenuti dei libri di testo che hanno un’impostazione eurocentrica, la mancanza di una formazione sulle metodologie interculturali.  

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